Vita con i coleotteri, par Boris Porena v.o.
26 avril 2010
I primi esemplari della mia raccolta sono datati 1940. Già l’anno precedente invero ne avevo presi un certo numero, che tuttavia non avevo saputo preparare in maniera presentabile e che quindi ho poi scartato. Ancora prima ricordo che mio padre mi accompagnava al mattino presto a prendere farfalle in una villa davanti alla nostra casa. E alle farfalle sono ritornato, alcuni decenni più tardi, ma solo acquistando, spesso a caro prezzo, vistosi esemplari esotici. La mia vera passione, cui ho dedicato, famiglia esclusa, non meno di un terzo della mia vita attiva, sono stati e sono i coleotteri. A loro debbo le molte ore trascorse all’aperto, i paesi visitati e alcune delle più durature amicizie che mi hanno accompagnato tutti questi anni. Ancora oggi che le forze mi hanno abbandonato ma che anche i coleotteri hanno abbandonato le nostre campagne, mi siedo quasi ogni giorno in poltrona con in mano una delle scatole della mia collezione, fonte inesauribile di ammirazione e di sempre rinnovata emozione. Emozione che non riguarda solo gli esemplari su cui si posa lo sguardo mai sazio, ma anche il ricordo delle circostanze che ne hanno segnato la cattura. Ecco per esempio lo splendore verde-oro di una Calosoma scendere lungo il tronco di un leccio a Villa Borghese ; ecco il Claviger apenninus, strano piccolo commensale delle formiche, trovato nel 1943 – in piena guerra mondiale – sull’Appennino toscano ; ecco ancora delle Chrysochloe , veri gioielli disseminati in abbondanza sulle larghe foglie di molte piante alpine ; ecco infine la scatola dedicata al genere Carabus, orgoglio di ogni collezionista , soprattutto se principiante.
Molti anni fa, evidentemente in un momento di melanconia, mi è capitato di annotare la seguente poesia, che qui riporto in traduzione italiana ( l’originale è in tedesco) :
Il raccoglitore di coleotteri
Quanto avete dato a quel l’uomo !
la foga del cercare, il giubilo del trovare,
la gioia del possesso, la speranza nel di più
e i giorni dell’infanzia, da bambino e da vecchio.
Per campi e cespugli, monti e valli
su fino all’orlo dei ghiacciai
e di nuovo nei boschi, dove
sotto la corteccia dei giganti
alcuni di voi lo aspettavano :
e cosi si andava di qua, di là, dallo sterco ai fiori,
dal muschio alla cima degli alberi,
dal legno fradicio al verde bocciolo.
L’impeto del torrente lo attirava
cosi come l’acqua cheta (c’eravate dentro voi)
e ogni sasso ( c’eravate sopra o sotto ).
Eravate dappertutto dove è possibile vivere.
E cosi l’ uomo credette, attraverso voi, di capire il mondo,
l’infinita catena della vita.
Essere e tempo
punto e spazio
tutto e nulla
si fondevano in lui in temeraria ipotesi.
Da voi ricavò i raggianti pensieri
di una nuova filosofia……..
E con che cosa quell’uomo vi ha ripagato ?
Con una morte precoce.
(1992)
Una decina di anni più tardi la blanda retorica di queste righe aveva ceduto il posto a una più seria riflessione sulla nostra attività di entomologi appassionati ma dilettanti. Come si conciliavano le nostre cacce con gli ideali di cui ci dichiaravamo portatori ? Indubbiamente il danno prodotto da un raccoglitore di coleotteri è irrisorio rispetto a quello causato dalle monocolture, dai diserbanti e dai pesticidi, per non parlare dell’ urbanizzazione delle campagne, della sparizione delle aree forestali e cosi via. Ma qui si parla della congruenza tra il comportamento individuale e ciò che si vorrebbe fosse un comportamento sociale largamente adottato. Una questione ‘morale’ di marca kantiana ? Anche, forse, ma assai più, una questione di credibilità , quindi di efficacia del messaggio. Se la giustizia fosse teorizzata da ladri di professione - come pure talvolta accade - , nessuno si sentirebbe in dovere di rispettarla.
“ Ma noi siamo al servizio della scienza, che a sua volta è al servizio dell’umanità “ è la risposta-standard in questi casi. Risposta palesemente ipocrita, perche non è certo l’amore per il prossimo a guidare la mano del cacciatore di coleotteri verso la sua preda e forse neppure l’ìnteresse scientifico, bensì il piacere tutto egoista del possesso
e l’altro, non meno egoista, di essere considerato il possessore di un oggetto particolarmente ambito. Il semplice collezionista – e molti di noi, come me, altro non sono – raccoglie per ‘vizio’ , perche non può farne a meno e, quando vede la sua boccetta nereggiare delle piccole vittime, non pensa certo alla vita cancellata, all’impoverimento della fauna : queste sono cose di cui si disserta in altra sede…..
A difendere gli innocenti coleotteri – non tutti invero sono innocenti, anche se il danno da essi prodotto è talesolo agli occhi nostri e non di rado conseguenza di un nostro incauto intervento sull’ambiente – alla loro difesa provvedono da qualche tempo i coleotteri stessi, paradossalmente, con la loro sparizione. Non so quando il fenomeno abbia avuto inizio. Dal diario di un mio amico, Sergio Cafaro, musicista e coleotteraro anche lui, ricavo che già negli anni ’60 il regresso numerico di tutti gli insetti, non dei soli coleotteri, era nettamente avvertibile. Io stesso ricordo la Roma del periodo di guerra come un ricchissimo terreno di caccia, nel quale era possibile imbattersi in specie pregiate, oggi del tutto scomparse. Interi generi, addirittura famiglie andavano sparendo di anno in anno. A quel tempo avevo poche occasioni di osservare come andavano le cose in altri luoghi. Nel 1962 uscì un libro che divenne ben presto un bestseller : Primavera silenziosa della biologa americana Rachel Carson, un primo forte campanello di allarme sullo stato di salute di nostro pianeta. Vi si preconizzava un progressivo spegnersi della vita per interruzione delle catene alimentari a causa dell’azione umana, in particolare dei pesticidi
attorno ai quali ruotavano gli interessi delle potenti case farmaceutiche. Rachel Carson non visse abbastanza per vedere il successo internazionale del suo libro, successo che ha dato origine ai movimenti ecologisti, ma non impedì alla grande industria di continuare nella sua opera di distruzione dell’ambiente. A distanza di quasi mezzo secolo sono ormai ben noti gli effetti della ‘crescita illimitata’ di cui i nostri governi non si stancano di favoleggiare a protezione degli ingenti capitali investiti in essa. E le popolazioni non reagiscono che debolmente, quelle ricche per paura di veder calare la loro ricchezza, quelle povere perché si ritengono in diritto – e in certo senso lo sono – a partecipare allo stesso banchetto cui partecipano gli altri. Solo che il pianeta non sembra curarsi del welfare.
Ma torniamo ai nostri insetti.
La loro sparizione continua nei decenni seguenti con velocità crescente, poi, da tre o quattro anni, aumenta anche l’accelerazione cosicché si può oggi parlare di una vera e propria catastrofe ecologica, almeno in area europea .Anche insetti fino a ieri comunissimi come le cetonie e certe cavallette stanno diventando una rarità. I prati non risuonano più del ronzio degli imenotteri ; di notte la luce dei lampioni non viene più visitata dalle grandi falene che un tempo abbondavano perfino in città e anche le acque di stagni e torrenti non ospitano più la ricca fauna cui eravamo abituati. E questo non solo qui da noi. Ho visto la fauna coleottero logica calare bruscamente da un anno all’altro in Bulgaria e la cosa mi è stata confermata da entomologi bulgari. Nel 2007
il Parco Nazionale d’Abruzzo, nonostante la protezione ‘ufficiale’ che ne dovrebbe fare un’ area di relativa sicurezza, non mi ha regalato una sola specie degna di nota. E lo stesso vale per la Sila e l’Aspromonte, da me visitati nel 2008. Quanto alla Sabina, dove vivo, in tutto il 2009 non ho trovato più di tre o quattro esemplari tra i più comuni.
“ Ma che c’importa dei tuoi insetti – dirà qualcuno – un fastidio di meno !”
Effettivamente, che sarà mai qualche insetto nell’economia della biosfera ? Tutto al più un boccone per una capinera o un usignolo !
Ma se, come sembra, non si trattasse di un solo boccone, ma della sopravvivenza di capinere e usignoli, forse di tutti gli uccelli insettivori e, di conseguenza, dei falchi che ne sono i predatori, la cosa ci dispiacerebbe un poco di più. I cieli senza rondoni sfreccianti, i sottotetti senza l’andirivieni dei balestrucci nidificanti, gli acquitrini senza il biancore della garzetta certo ci dispiacerebbe ancora di più. Tuttavia, per liberarci di zanzare e tafani un piccolo sacrificio paesaggistico e anche sopportabile….
Ma siamo sicuri che solo di questo si tratta ?
E se la catena delle sparizioni fosse inarrestabile e, dopo gli uccelli toccasse ai mammiferi e infine all’uomo ?
Nel mondo si contano a molte unità se non decine le specie che ogni giorno si estinguono e ognuna di queste ne trascina con sé delle altre. Fin quando potremmo dirci al sicuro ?
Tutto questo vedendo le cose unicamente dal punto di vista nostro.
E perché dovremmo adottarne un altro ?
Perché, anche se ci consideriamo i signori del creato, non è affatto detto che sia veramente così, e alla natura o chi per lei potrebbe non interessare per nulla se a estinguersi sia un tafano o l’homo sapiens. Ci conviene allora, visto che il nostro cervello ci permette di pensare oltre noi stessi, prenderci cura anche dei nostri compagni di viaggio, grandi o piccoli che siano, nonché dell’ambiente che ci accomuna. Questo perché quella che chiamiamo
Natura sa essere oltremodo vendicativa e non c’è un ‘ Messia’ disposto a sacrificarsi per noi.
Molti sono ancora ( o di nuovo) coloro che, guardando il cielo, vi intravvedono il volto di un Creatore, sono cioè dei creazionisti ; questo in un periodo di straordinaria crescita del pensiero scientifico, quando la maggior parte dei problemi sollevati dall’osservazione diretta del mondo ha trovato una sua soluzione razionale. In altre parole l’ipotesi di un dio creatore è ormai un optional, privo di necessità. E’ anche vero che, al posto dei tradizionali interrogativi su chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti, la scienza ne pone oggi degli altri, per ora impenetrabili dal pensiero razionale, ma non è su questi che si soffermano i creazionisti, bensì su quelli che presumibilmente agitavano la mente dell’uomo di Neanderthal : se esistono le cose , vuol dire che qualcuno le ha create, e dov’è questo qualcuno ? Mentre farebbero bene a domandarsi come mai questo regresso del pensiero a uno stadio di molto precedente la cultura greca e quella orientale.
Per contrastare questo arcaico stile di pensiero gli si oppone spesso una altrettanto irrazionale ‘ fede nella ragione ‘. L’organo che ci permette di ragionare è il cervello, e questo è fatto di materia, la stessa che la ragione si propone di indagare. Si tratta quindi di una fede autoriferita come nella vignetta dell’omino che si tira su per i piedi. La scienza tuttavia ha finito per rinunciare al concetto di ‘ fede’ per sostituirlo con quello di ‘assenso temporaneo a un ‘ ipotesi’ (Popper).Ciò vuol dire riconoscerle validità finche un nuovo atto osservativo ci costringa a formulare una diversa ipotesi. Il passaggio non lascia però intatta la base epistemologica della conoscenza. La rinuncia alla ‘fede’ implica infatti la rinuncia alla ‘verità’ ; ovvero allo studio dell’essere, all’ontologia. Una perdita insopportabile per l’uomo educato alla certezza garantita da Dio. E, fin quando anche la scienza faceva appello al medesimo, qualsiasi fede poteva essere difesa, il che voleva dire permesso accordato alla guerra. Se un dio esiste, non può che essere Marte, l’unico in grado di affermare sé stesso a fronte di tutti gli altri. E, poiché la scienza ci libera dalla necessità di avere un dio, ci consente di escludere la guerra come risolutrice dei conflitti. Anzi, non solo la esclude, ma la rende incompatibile con un qualsiasi progetto di sopravvivenza.
Sappiamo anche – è un ipotesi suggeritaci dalla scienza (oltreché dal comune buonsenso) – che la vita non è che un modo di manifestarsi della materia e che quindi ha, almeno qui sulla terra, ovunque stesse caratteristiche fondamentali. Ne consegue che la sopravvivenza nostra è legata a quella della biosfera generale, coleotteri compresi.
Siamo così ritornati all’argomento di partenza. La sparizione di coleotteri, anzi degli insetti tutti e oltre ( dei loro predatori, uccelli e mammiferi, delle piante da essi impollinate e cosi via) non può che essere il preludio alla sparizione nostra, forse non imminente su scala quotidiana ma probabilmente già in corso da qualche secolo e ora enormemente accelerata.
Ma come – si dirà –, se la popolazione à in precipitoso aumento ? Anche le stelle prima di esplodere diventano giganti rosse…… Forse ci converrebbe badare più ai coleotteri che alla ripresa economica.